Giornata Mondiale del Teatro 2019: il Messaggio di Carlos Celdrán

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Prima del mio risveglio al teatro, i miei insegnanti erano già là. Avevano costruito le loro case e il loro approccio poetico sui resti delle loro vite. Molti di loro sono sconosciuti, o sono a malapena ricordati: hanno lavorato nel silenzio, nell’umiltà delle loro sale prove e nei loro teatri pieni di spettatori e, lentamente, dopo anni di lavoro e risultati straordinari, sono gradualmente andati via da questi luoghi e poi scomparsi. Quando ho capito che il mio destino personale sarebbe stato quello di seguire i loro passi, ho anche capito che avevo ereditato quell’affascinante, unica tradizione di vivere nel presente senza alcuna aspettativa, se non quella di raggiungere la trasparenza di un momento irripetibile; un momento di incontro con un altro nel buio di un teatro, senza ulteriore protezione se non la verità di un gesto, di una parola rivelatrice.

La mia patria teatrale si trova in quei momenti di incontro con gli spettatori che arrivano nel nostro teatro sera dopo sera dagli angoli più disparati della mia città, per accompagnarci e condividere alcune ore, pochi minuti. La mia vita è fatta di questi momenti unici, in cui smetto di essere me stesso, di soffrire per me stesso, e rinasco e capisco il significato della professione teatrale: vivere istanti di pura, effimera verità, dove sappiamo che ciò che diciamo e facciamo, lì sotto le luci del palcoscenico, è vero e riflette la parte più profonda, più personale di noi stessi. Il mio paese teatrale, mio e dei miei attori, è un paese intessuto di questi momenti, in cui mettiamo da parte le maschere, la retorica, la paura di essere ciò che siamo, e  uniamo le nostre mani nel buio.

La tradizione teatrale è orizzontale. Non c’è nessuno che possa affermare che il teatro esista in un qualsiasi luogo del mondo, in  una qualsiasi città o edificio privilegiato. Il teatro, così come l’ho recepito, si diffonde attraverso una geografia invisibile che fonde le vite di chi lo compie e il mestiere teatrale in un unico gesto unificante. Tutti i maestri del teatro scompaiono con i loro momenti di irripetibile lucidità e bellezza; svaniscono tutti allo stesso modo, senza alcuna altra trascendenza che li protegga e li renda noti. I maestri del teatro lo sanno, nessun riconoscimento è valido di fronte a quella certezza che è la radice del nostro lavoro: creare momenti di verità, di ambiguità, di forza, di libertà nel mezzo della grande precarietà. Nulla sopravvive, se non i dati o le registrazioni dei loro lavori, in video e in foto, che cattureranno solo una pallida idea di ciò che hanno fatto. Tuttavia, quello che mancherà sempre in quelle registrazioni è la risposta silenziosa del pubblico che capisce in un istante che ciò che accade non può essere tradotto o trovato all’esterno, che la verità condivisa è un’esperienza di vita, per qualche secondo, anche più diafana della vita stessa. Quando ho capito che il teatro era un paese in sé, un grande  territorio che copre il mondo intero, è sorta in me una determinazione, che è stata anche il compimento di una libertà: non devi andare lontano o spostarti da dove sei, non devi correre o muoverti. Il pubblico c’è ovunque tu esisti. I colleghi di cui hai bisogno sono là al tuo fianco. Là, fuori da casa tua, c’è la realtà quotidiana opaca e impenetrabile. Lavorerai, quindi, da quell’apparente immobilità per progettare il più grande viaggio di tutti, per ripetere l’Odissea, il viaggio degli Argonauti: sei un viaggiatore immobile che non cessa mai di accelerare la densità e la rigidità del tuo mondo reale. Il tuo viaggio è verso l’istante, il momento, verso l’incontro irripetibile con i tuoi simili. Il tuo viaggio è verso di loro, verso il loro cuore, la loro soggettività. Tu viaggi dentro di loro, nelle loro emozioni, nei loro ricordi che risvegli e metti in moto. Il tuo viaggio è vertiginoso e nessuno può misurarlo o metterlo a tacere. Né qualcuno può riconoscerlo nella giusta misura. E’ un viaggio attraverso l’immaginazione della tua gente, un seme che viene seminato nelle terre più remote: la coscienza civica, etica e umana dei tuoi spettatori. Perciò, non mi muovo, rimango a casa, con i miei cari, in una quiete apparente, lavorando giorno e notte, perché ho il segreto della velocità.

Carlos Celdrán

Traduzione di Roberta Quarta_Centro Italiano ITI

Messaggio e Bio Carlos Celdrán

Testo vincitore di Scrivere il Teatro 2019: Ti ho trovato!

27 Marzo 2019 – Roma, Teatro Vascello

foto laboratorio rossano

Scritto dagli studenti della V A Elettronica IIS “E. Majorana” di Rossano (Cs)

Di e con: Nicola Amodeo, Andrea Conforti, Salvatore Graziano, Rosaria Licciardi,Maria Martino, Marco Milito, Mario Motta, Gianluca Parrilla, Luigi Parrilla, Michele Sisca, Francesco Viola
Docente referente: Maria Letizia Guagliardi
Colonna sonora: Renato Corosu
Tecnico: Davide Picolli
Laboratorio, drammaturgia e regia: Sara Donzelli e Giorgio Zorcù

Motivazione della Giuria
La soffitta, il baule, le foto ricordo, costituiscono per Giuseppe una vita alternativa da “rifugio” per fare fronte al dolore della perdita della madre e al rapporto conflittuale col padre. Il luogo segreto di Giuseppe nasce dalla necessità di adattare il vissuto al dolore, alla perdita di senso della vita e al disagio nei confronti degli altri. Ma tutto questo dona al testo una struttura drammaturgica sorprendente, che fa tesoro della creazione di un tempo e di uno spazio, specifici, su cui trova sostanza il linguaggio teatrale. La fotografia è l’anello di trasmissione delle emozioni e della memoria di un rapporto interrotto violentemente tra madre e figlio. Ma è anche l’immagine muta di uno scavo doloroso dentro la materia esistenziale in età adolescenziale, esposta ai turbamenti e ai silenzi di una vita da capire e da sostenere. Tra l’assenza e la presenza, nell’inconciliabile rapporto tra spazio segreto e spazio pubblico, in cui Giuseppe si dibatte, il tempo drammaturgico instaura un legame tanto forte e tanto fragile, attraverso l’Ora d’Oro, quella prossima al tramonto, che Giuseppe continua a fotografare così come aveva fatto sua madre. Giuseppe, fotografo dell’esistenza, in fondo sa che l’attimo fuggente, attraverso la foto, incolla gli strappi del tempo. Ma fino a quando il motivo ricorrente di stampo materno “Ti ho trovato!”, vissuto come soliloquio interiore nello spazio segreto della soffitta, non passa nella realtà, sulla bocca di un’altra donna, in questo caso Maria la compagna di scuola, il contatto tra irrealtà e realtà non potrà essere ripristinato. Il titolo ne predice l’esito finale, come una formula catartica. In mezzo, nello scioglimento dell’azione, ci sta anche il risanamento del rapporto padre-figlio. Questo passa ugualmente attraverso la fotografia. Un altro patrimonio della memoria costituito dalle foto scattate dal padre a madre e figlio per fissare momenti di vita che la malattia avrebbe inghiottito. Il testo costruisce così un interessante triangolo della memoria che, agitato in un primo momento dalla tempesta della vita, trova un ordine nella realtà attraverso il classico superamento della “prova”, fino al ricominciamento del battito del tempo quotidiano: il pallone che torna a rotolare nel tempo impreciso della giornata giovanile.

Celebrazione del 70° anniversario della fondazione dell’International Theatre Institute

foto per post sito itiDal 23 al 26 novembre 2018, delegati, studenti e artisti provenienti da 60 paesi diversi si sono riuniti per celebrare il 70° anniversario della fondazione dell’ITI – International Theatre Institute dell’UNESCO a Haikou, nell’isola di Hainan, in Cina. Il tema di questa celebrazione “Preserving cultural heritage, Encouraging artistic innovation and Creating unity through diversity”.

News and Calls November 2018

 

Bando di Concorso nazionale “Scrivere il Teatro” / Giornata mondiale del Teatro 2019

Anche quest’anno il Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, in collaborazione con il Centro italiano dell’International Theatre Institute – UNESCO (ITI), in occasione della Giornata Mondiale del Teatro 2019 ha lanciato il bando “Scrivere il Teatro,” rivolto agli studenti delle scuole pubbliche statali di ogni ordine e grado.

“Bastava un abbraccio” vincitore della stagione 2017-2018 del Liceo “Max Fabiani” di Gorizia il cui spettacolo è stato presentato in occasione della Giornata Mondiale del Teatro 2018 al Teatro Eliseo di Roma.

 

Bucarest. Terzo European Regional Council dell’International Theatre Institute – ITI

Si conclude a Bucarest il terzo European Regional Council dell’International Theatre Institute – ITI.
Hanno partecipato 20 centri nazionali da tutta Europa per discutere delle politiche culturali europee.
Fabio Tolledi, presidente del centro Italiano dell’ITI e presidente del network europeo ha coordinato e diretto i lavori.
L’ European Regional Council è stato ospitato da UNITER, Unione dei Teatri Nazionali della Romania.


ADNICH / progetto transfrontaliero Interreg Italia-Albania-Montenegro

Teatro Reale MontenegroIl progetto Adnich, finanziato nell’ambito del programma europeo transfrontaliero Interreg Italia-Albania-Montenegro, propone la creazione di una rete culturale tra Italia, Albania e Montenegro, che possa valorizzare il patrimonio immateriale dei tre paesi attraverso l’arte e il teatro, dialogando con i diversi elementi espressivi del paesaggio antropico (identità, tradizioni) per la creazione di contenuti innovativi e transfrontalieri. Un percorso che mira a coinvolgere comunità locali, istituzioni pubbliche, scuole, accademie teatrali, opinion leader e artisti locali dei tre paesi come beneficiari, ma in una prospettiva più ampia che produce una rete turistica legata al paesaggio e ai beni immateriali. Il progetto guidato dal Teatro Reale Zetski Dom di Cetinie in Montenegro coinvolge Astragali Teatro e il Centro Italiano dell’International Theatre Institute – Unesco, il Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo dell’Università del Salento, il Comune di Podradec e l’Università delle Arti di Tirana in Albania. Adnich, dopo una prima fase di analisi sociale, intende sviluppare residenze teatrali e workshop che coinvolgano le comunità locali dei tre paesi, allo scopo di sviluppare produzioni congiunte da promuovere all’interno di un festival del teatro sperimentale nell’Adriatico meridionale.

Giornata Internazionale della Danza 2018

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To celebrate the 70th Anniversary of the International Theatre Institute and to underline the cross-cultural and international aspect of this common language – Dance, the Executive Council and the International Dance Committee of ITI have selected five message authors to write a message – one from each of the five UNESCO Regions: Africa, the Americas, Arab Countries, Asia Pacific and Europe.

– Africa: Salia SANOU, Burkina Faso https://www.international-dance-day.org/pdfs/2018SaliaSanouEN.pdf

– Arab countries: Georgette GEBARA, Lebanon https://www.international-dance-day.org/pdfs/2018GeorgetteGebaraEN.pdf

– Asia Pacific: Willy TSAO, Hong Kong, China https://www.international-dance-day.org/pdfs/2018WillyTsaoEN.pdf

– Europe: Ohad NAHARIN, Israel https://www.international-dance-day.org/pdfs/2018OhadNaharinEN.pdf

– The Americas: Marianela BOAN, Cuba https://www.international-dance-day.org/pdfs/2018MarianelaBoanEN.pdf

Giornata Internazionale della Danza 2018: il Messaggio di Ohad Naharin

Ohad NaharinGIORNATA INTERNAZIONALE DELLA DANZA 2018
Il Messaggio di Ohad Naharin, Israel
Choreografo, direttore artistico di Batsheva Dance Company, creatore del linguaggio del movimento GAGA.

La danza è essere nel momento. E’ ascoltare le sensazioni e far sì che quell’ascolto diventi il nutrimento di tutti i sentimenti, delle forme e dei contenuti. Dovremmo sempre ricordare da dove veniamo.
Quando mi chiedono su cosa sia il mio lavoro, io rispondo prima di tutto che è su se stesso. Su come tutti gli elementi si incontrino per creare la sua narrazione. Una narrazione di volume, delicatezza, l’uso di un potere esplosivo. La ricerca del movimento, l’organizzazione e la struttura. Ridere di sé, le dinamiche, l’esagerazione e la sobrietà, il legame tra piacere e sforzo e la sublimazione in una forma chiara della follia, della passione e della fantasia di ciascun danzatore. Nella sua migliore espressione, la danza può essere sublime, anche se lontana dalla perfezione. Abbiamo bisogno di resistere al pensiero convenzionale e conservatore che ha le sue radici in tanta parte dell’educazione e della formazione alla danza, e di abbandonare idee vecchie, per idee nuove e migliori. E dobbiamo sempre ricordare di danzare un poco ogni giorno… E dobbiamo sempre ricordare di danzare un poco ogni giorno…. e mai di fronte ad uno specchio.

Ohad Naharin

Traduzione di Roberta Quarta del Centro Italiano dell’International Theatre Institute

 

Il messaggio di Were Were Liking

Il messaggio di Were Were Liking, Costa d’Avorio
Artista multidisciplinare   

Were Liking

Un giorno,
un essere umano decise di porsi delle domande davanti a uno specchio (un pubblico),
di inventarsi delle risposte e, di fronte allo stesso specchio, (il suo pubblico)
di fare autocritica, di prendere in giro le sue stesse domande e risposte,
di riderne e di piangerne, comunque, e alla fine,
di salutare e benedire il suo specchio (il suo Pubblico),
per avergli dato questo momento di dispetto e tregua,
allora s’inchina e lo ringrazia per mostrargli gratitudine e rispetto …
Nel profondo, era alla ricerca di pace:
pace con se stesso e con il suo specchio.
Stava facendo teatro …

Quel giorno, parlava …
disprezzando i suoi punti deboli, le sue contraddizioni e le sue deformazioni,
condannando, attraverso mimica e contorsioni,
le sue meschinerie, che hanno infangato la sua umanità,
i suoi inganni, che avevano portato cataclismi.
Parlava a se stesso …
ammirandosi nei suoi scatti crescenti,
nelle sue aspirazioni alla grandezza, alla bellezza,
ad un essere migliore, ad un mondo migliore,
che avrebbe costruito con i propri pensieri,
che avrebbe potuto forgiare con le proprie mani,
Se lui, insieme al suo riflesso nello specchio, lo avesse voluto, disse a se stesso,
Se lui e il suo specchio ne condividessero il desiderio …

Ma lui lo sa: stava facendo una Rappresentazione
una derisione, senza dubbio, un’illusione,
ma anche, certamente, un’azione mentale,
una costruzione, una ri-creazione del mondo:
stava facendo teatro …

Anche se sabotava tutte le speranze
attraverso le sue parole e i suoi gesti accusatori,
era deciso a credere
che tutto si sarebbe compiuto in una sola sera
con i suoi sguardi folli,
con le sue parole dolci,
con i suoi sorrisi maliziosi,
con il suo buon umore,
con le sue parole che, offensive o cullanti,
avrebbero compiuto l’intervento chirurgico per miracolo.
Sì, stava facendo teatro.

E, in generale,
da noi in Africa,
specialmente nella zona del Kamite da cui provengo,
prendiamo in giro tutto anche noi stessi:
ridiamo anche nel lutto quando piangiamo,
battiamo la terra, quando ci fa arrabbiare,
con il Gbégbé o il Bikoutsi
intagliamo Maschere paurose,
Glaé , Wabele o Poniugo ,
per dare forma ai Principi Assoluti
che ci impongono la ciclicità e i tempi.
E i burattini, che, come noi,
finiscono per plasmare i loro creatori e,
soggiogare i loro manipolatori.

Concepiamo dei rituali in cui la parola,
ritmicamente cadenzata da canzoni e respiri,
avanza alla conquista del sacro,
incitando danze come fossero trance,
incantesimi e richiami alla devozione,
ma anche, e soprattutto, scoppi di risate
per celebrare la gioia di vivere
che nemmeno secoli di schiavitù e colonizzazioni,
di razzismo e discriminazioni,
né eternità di indicibili atrocità
hanno potuto soffocare o schiacciare.
Dalla nostra anima di Padre e Madre dell’Umanità,
in Africa, come in qualsiasi parte del mondo,
facciamo teatro …

E in quest’anno speciale dedicato all’ITI (Organizzazione Mondiale per le Arti Performative),
sono particolarmente felice ed onorata
di rappresentare il nostro continente

1 Kamite, abitante di Kamita, la “Terra dei Neri”, lett. “Africa”. Il termine Kamite si riferisce anche a tutti i nativi e ai loro discendenti sparpagliatisi per il mondo nelle diaspore, oltre ai praticanti della religione originaria di questa regione.
2 Gbégbé, danza tradizionale della Regione Bété, in Costa d’Avorio, usata nelle manifestazioni pubbliche di giubilo o di cordoglio.

3 Bikoutsi, termine composto da a) Kout: “colpo” e b) Si, che identifica la Terra. Una danza Fan Beti originaria del Camerun meridionale, inizialmente praticata dalle donne per garantirsi le benedizioni da parte della Madre Terra (buoni raccolti, migliori condizioni meteo, ecc.) e durante la quale era necessario colpire vigorosamente il suolo affinché prestasse ascolto. Oggi, è stata recuperata dai giovani dell’intera regione e oltre, grazie a molte star internazionali.

4 Glaé, sistema religioso delle popolazioni Wè e Wobè, originarie della zona occidentale della Costa d’Avorio, basate sulle “Maschere”. Un’intera gerarchia di maschere, dall’aspetto spesso terrificante, funge da fondamento a tutte le credenze e le organizzazioni sociali di queste popolazioni.

5 Wabele, una delle maschere del sistema religioso Senufo, originario della parte settentrionale della Costa d’Avorio. Con la testa di iena mangiafuoco, rappresenta la conoscenza e il potere.

6 Poniugo, altra maschera del sistema religioso Senufo, basato sulla Poro, il rito d’iniziazione nel cuore dei boschi sacri e che governa tutta la loro società.

per portare il suo messaggio di pace
Il Messaggio di Pace del Teatro;
perché questo continente, di cui non molto tempo fa
fu detto che il mondo poteva farne a meno,
senza che nessuno avvertisse malessere o mancanza,
è stato di nuovo riconosciuto nel suo ruolo primordiale
di Padre e Madre dell’Umanità
e il mondo intero ci si sta riversando …
Perché tutti sperano sempre di trovare la pace
nelle braccia dei propri genitori, non è vero?
E come tale, il nostro teatro più che mai, riunisce
e impegna tutti gli umani, specialmente
tutti coloro che condividono il pensiero, la parola e l’azione teatrale,
ad avere maggiore rispetto per se stessi e per gli altri,
favorendo i migliori valori umanistici,
nella speranza di riconquistare una migliore umanità in ciascuno:
quella che fa rinascere intelligenza e comprensione,
attraverso questa parte delle culture umane, tra le più efficaci,
quella che cancella tutti i confini: il teatro …
Una delle più generose, perché parla tutte le lingue,
coinvolge tutte le civiltà, riflette tutti gli ideali
ed esprime una profonda unità di tutti gli uomini che,
nonostante tutte le contrapposizioni,
cercano soprattutto di conoscersi meglio
e di amarsi meglio, in pace e in tranquillità
quando la rappresentazione diventa partecipazione,
ricordandoci il dovere di un’azione che ci impone
il potere del teatro di far ridere e piangere tutti, insieme,
diminuendo la loro ignoranza, aumentando la loro conoscenza,
affinché l’uomo torni ad essere la più grande ricchezza dell’uomo.

Il nostro teatro si propone, essenzialmente, di riesaminare e rivalutare
tutti questi principi umanistici, tutte queste grandi virtù,
tutte queste idee di pace e amicizia tra i popoli,
così tanto sostenute dall’UNESCO,
per reincarnarle nelle scene che creiamo oggi,
in modo tale che queste stesse idee e questi stessi principi diventino un bisogno essenziale
e un pensiero profondo, prima di tutto, dei creatori di teatro,
che potranno così condividerli meglio con il loro pubblico.

Ecco perché la nostra ultima creazione teatrale, intitolata “L’Arbre Dieu”, ripetendo i consigli di
Kindack1 Ngo Biyong Bi Kuban2, nostra Maestra, dice:
“Dio è come un Grande Albero”

7 Kindack; lett. “Signora dei Consigli”, titolo conferito alle Matriarche, donne che hanno raggiunto un livello di saggezza attraverso l’iniziazione a Mbock o a Mbog, sistemi religiosi della Regione Bassa, nel Camerun centrale, e che corrisponde al titolo di Mbombock, riservato agli uomini.

8 Kuban; ragazza di Biyong, figlio di Kuban. Questo è il nome di mia nonna, una delle ultime detentrici della conoscenza “KI-Yi Mbock”, da cui ho ricevuto l’incarico di trasmissione per il quale ho lavorato duramente per oltre tre decenni.

di cui si riesce a percepire un solo aspetto alla volta,
in base all’angolo da cui viene osservato:
chiunque sorvoli l’albero, percepirà soltanto il fogliame
gli eventuali frutti o fiori stagionali;
chiunque viva nel sottosuolo, ne saprà di più delle sue radici;
quelli che vi si appoggeranno all’albero lo riconosceranno,
sentendolo dietro la schiena;
quelli provenienti da qualsiasi punto cardinale,
vedranno aspetti che quelli che sono dall’altra parte non necessariamente vedranno;
alcuni, quelli privilegiati, percepiranno il segreto
tra la corteccia e la polpa del legno;
ed altri ancora, la scienza intima custodita nel midollo dell’albero;
ma, qualunque sia la superficialità
o la profondità della percezione di ciascuno,
nessuno sarà mai posizionato in un’angolazione dalla quale
sia possibile percepire tutti questi aspetti nello stesso tempo,
a meno che non ci si trasformi in questo stesso albero divino!
Ma allora, siamo ancora umani?

Che tutti i teatri del mondo si tollerino e accettino reciprocamente,
per meglio servire lo scopo globale dell’ITI,
affinché, in questo suo 70° anniversario,
ci sia più Pace nel mondo
con una forte partecipazione del Teatro …

Were Were Liking   

Traduzione a cura del Centro Italiano dell’International Theatre Institute. La Giornata Mondiale del Teatro è un’iniziativa promossa, dal 1962, dall’International Theatre Institute Worldwide.   

Il messaggio di Sabina Berman

Il messaggio di Sabina Berman, Messico
Scrittrice, drammaturga e giornalista   

Sabina Berman

Possiamo immaginare.

La tribù lancia piccoli sassi per abbattere uccelli in aria, quando un mammut gigante irrompe sulla scena e RUGGISCE; e allo stesso tempo, un piccolo essere umano RUGGISCE come il mammut. Allora, tutti fuggono via …

Quel ruggito di mammut emesso da una donna umana (mi piacerebbe immaginarla come una donna) rappresenta l’origine di quello che ci rende la specie che siamo. Una specie capace di imitare ciò che non siamo, di rappresentare l’Altro.

Facciamo un salto in avanti di dieci, cento o mille anni. La tribù ha imparato ad imitare altri esseri: nella profondità della caverna, nella luce tremolante di un falò, quattro uomini sono i mammut, tre donne sono il fiume, uomini e donne sono uccelli, bonobi, alberi e nuvole; la tribù rappresenta la caccia mattutina, catturando il passato con il loro dono teatrale. Ancora più sorprendente: la tribù inventa, quindi, possibili futuri, provando possibili modi di sconfiggere il mammut, il nemico della tribù.

Ruggiti, fischi, mormorii (l’onomatopea del nostro primo teatro) diventeranno linguaggio verbale. La lingua parlata diventerà lingua scritta. Lungo un altro percorso, il teatro diventerà rito e, successivamente, cinema.

Ma, accanto a queste ultime forme, e nel seme di ciascuna di esse, continuerà ad esserci sempre il teatro. La forma più semplice di rappresentazione. L’unica forma vivente di rappresentazione.

Teatro: quanto più semplice è, tanto più intimamente ci connette alla più sorprendente capacità umana, quella di rappresentare l’Altro.

Oggi, in tutti i teatri del mondo, celebriamo la straordinaria capacità umana della performance, quella capacità di rappresentare e, di conseguenza, catturare il nostro passato (e di inventare possibili scenari futuri, portando alla tribù maggiore libertà e felicità).

Quali sono i mammut che, attualmente, la tribù umana dovrebbe sconfiggere? Quali sono i suoi nemici contemporanei? Cosa dovrebbe trattare quel teatro che aspiri ad essere qualcosa di più di un semplice intrattenimento?

Ritengo che il mammut più grande di tutti sia l’alienazione dei cuori umani. La perdita della nostra capacità di sentire gli Altri, di sentire compassione per gli altri esseri umani come noi e per le altre forme di vita come noi, anche se non sono umane.

Che paradosso. Oggi, all’ultima spiaggia dell’Umanesimo (dell’Antropocene), dell’era in cui gli esseri umani sono la forza naturale che ha maggiormente cambiato il pianeta e che continuerà a farlo, la missione del teatro, secondo il mio punto di vista, rappresenta l’opposto di ciò che aveva riunito la tribù quando il teatro veniva interpretato in una caverna: oggi, dobbiamo recuperare la nostra connessione con il mondo naturale.

Più della letteratura e più del cinema, il teatro, che richiede la presenza di esseri umani davanti ad altri esseri umani, è incredibilmente capace di salvarci dal diventare algoritmi o pure astrazioni.
Rimuoviamo dal teatro tutto ciò che è superfluo. Spogliamolo. Perché quanto più semplice è il teatro, tanto più può ricordarci dell’unica cosa innegabile: che noi siamo, finché siamo ancora in tempo, che siamo soltanto finché siamo carne ed ossa e cuori che battono nei nostri petti, che siamo qui e adesso, e nulla più.

Lunga vita al teatro, la più antica delle arti. L’arte di essere nel presente; la più straordinaria delle arti. Lunga vita al teatro.

Sabina Berman   

Traduzione a cura del Centro Italiano dell’International Theatre Institute. La Giornata Mondiale del Teatro è un’iniziativa promossa, dal 1962, dall’International Theatre Institute Worldwide.